• Daniel passò i suoi primi anni in una fattoria, in una regione in cui si coltivavano mais, patate e vigna e a settembre si produceva vino. Egli partecipò, come tutti, fratelli e cugini, ai lavori. «Era un bambino forte, godeva di buona salute ed era anche un po’ cicciottello. Solamente più avanti è diventato fragile», racconta la madre
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• Aveva due fratelli e una sorella. Con tre anni di differenza, Paulo era il maggiore, Miguel e Clara, vennero dopo di lui.
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• Da bambini passavano le vacanze a Praia da Luz, sulla costa presso Porto. «Non gli piaceva ma ci andava comunque», aggiunge su madre. «e tornava poi a casa con cipree, conchiglie varie, chiocciole e soprattutto pietre» che avrebbe collezionato per tutta la vita. Amava anche fabbricare dei presepi, cosa che non suscitava stupore in quegli ambienti umili in cui si frequentava il catechismo, i ritiri spirituali e la messa domenicale, considerati doveri nella vita dei bambini. «Fin dalle scuole elementari voleva farsi prete» racconta ancora Fernanda. Così a 9 anni preferì al liceo di Baltar, il seminario del Bom Pastor e il liceo Rodrigues de Freitas a Porto.
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• Fu grazie a don Manuel Mendes, professore di portoghese e lettore appassionato che Daniel, scoprì Sophia de Mello Breyner Andresen e Eugénio de Andrade. «Mi riferì che scriveva poesie dai tempi delle scuole primarie. Noi avevamo un piccolo giornale sul quale egli cominciò a scrivere con un entusiasmo, che riuscì a trasmettere anche agli altri. Era molto indipendente rispetto alla sua famiglia. A Baltar, era sbocciato in modo sorprendente e trovò nel seminario uno spazio in cui crescere.»
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• Daniel entrò a 12 anni nel seminario di Vilar, nel centro di Porto. Leggeva molto: le storie di Sophia, quelle della Yourcenar, di Michel Tournier, Dostoïevski, Raul Brandão. Scrisse fiumi di poesie, realizzò dei libri interi: Traço, Pórtico firmati ora Daniel Augusto, ora Germano Serra. I temi trattati erano profani, Porto, i pescatori, la campagna, l'amore, ma vi si trovano anche due costanti presenze: la morte e Dio.
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• Nel 1989, entrò nel Seminario de Sé. Secondo Fernando Nuno, un fedele amico di sempre, oggi professore di filosofia a Porto, Daniel provava una devozione quasi ossessiva nei confronti dei suoi amici, e soleva dire che «la cosa migliore che poteva regalare loro era la poesia». Ed è precisamente per questo amico che Daniel realizzò e pubblicò la sua prima raccolta di poesie: Oxálida nel 1992, corredata di collage multicolori, come sempre avrebbe fatto per i suoi originali. La sua grande passione in quel periodo era Herberto Helder. Leggeva anche Rilke, Hölderlin, António Ramos Rosa, Ruy Belo, Cecília Meireles, Guimarães Rosa, Lorca, Dante e Ezra Pound e amava leggere ad alta voce davanti ai suoi amici.
– Leggeva e scriveva per i suoi amici, e partecipò anche per loro a dei concorsi scolastici che vinse (300 escudos) e di cui spesso donò loro il premio in denaro, ma gli permisero anche di pubblicare i suoi primi libri del 1991/1993, libri che più avanti avrebbe ripudiato.
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• Per tutta la durata dei corsi di teologia e anche oltre, nei seminari, Daniel organizzò dei circoli di lettura e letteratura, poesia e collage colorati realizzati per invitare all’ascolto; diede vita a compagnie teatrali, recitando nei pezzi da lui scelti. Da "Le furberie di Scapino" di Molière, fino a "Assassinio nella cattedrale" di TS Eliot, passando per "Auto da barca do Inferno" di Gil Vicente.
– In materia musicale, Daniel ascoltava «a dosi massicce», secondo quanto ci viene riferito, «molto Bach» senza dubbio, ma anche Arvö Part, Hildegard von Bingen, Meredith Monk, Keith Jarret, Jan Garbarek, Monteverdi.
– E in materia di cinema, apprezzava Bergman, Tarkovsky, Dreyer e Lars von Trier.
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• Nel 1991, invitò al seminario Eugénio de Andrade, poeta che egli ammirava, malgrado le reticenze, le ritrosie incontrate. Eugénio finì con l’accettare e disse, di questa avventura, che era stato «un pomeriggio molto piacevole» nel corso del quale aveva accettato di recitare, senza alcuna esitazione: Hoje já não o faria (oggi non lo farei già più).
– «Quando Daniel è venuto a invitarmi, ho accettato a condizione di poter parlare di tutto quello che mi sarebbe saltato per la testa. Ed è stato così. L’ho trovato molto simpatico, io già avevo il sospetto che scrivesse poesia, ma lui non mi aveva detto niente. C’era in lui una trasparenza, un entusiasmo nel suo eloquio, che ha finito per trascinarmi, un po’ alla volta, fino al seminario».
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• Nel 1994, mentre stava adattando il pezzo teatrale di TS Eliot: "Crime in the Cathedral", iniziativa per la quale contrasse qualche debito finanziario e che gli costò anche dei malintesi con i suoi superiori, Daniel, pur con le pressioni e le recriminazioni di cui fu fatto oggetto, decise di iscriversi alla Facoltà di Belle Arti di Porto, proseguendo ovviamente, i suoi studi di Teologia. Nel 1996 concluse la sua tesi e si laureò.
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• È in questo periodo, dal suo primo anno al seminario di Sé, che si manifesta in lui l’attrazione per la vita monastica e che comincia a pensare di rinunciare all'intenzione di farsi prete.
– «Mi disse che aveva intenzione», ci racconta sua madre, «di entrare dai benedettini, aspirando ad una vita di povertà, in comunione con Dio. Io gli consigliai di terminare i suoi studi». Egli fece allora un ritiro a Singeverga e, al suo ritorno, aveva preso coscienza della sua vocazione a farsi monaco.
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• E Carlos Azevedo, suo padre spirituale alla Sé, gli diede un consiglio che egli avrebbe seguito: «È bene che tu segua i corsi di letteratura. Tu devi portare molta gente con te, predisporre, in anticipo, uno spazio dove poter incontrare persone e arricchirti spiritualmente.»
– Terminati i suoi studi, Daniel insegnò catechismo nella casa parrocchiale di Marquês de Porto e si prese cura della chiesa. Poi, un po’ di tempo dopo, continuò il suo impegno pastorale a Marco Canaveses dove ritrovò un suo grande amico, Nuno Higino, anch’egli poeta e prete. Insieme, si unirono a una troupe di teatro, facendo letture di poesie e incoraggiando a scriverne. Su invito di Nuno, Daniel si recò, prima, a New York, dove scoprì il formicaio (formigueiro) della metro, le strade, i musei, le librerie e gli scoiattoli di Central Park, e successivamente visitò l’isola di Sal, a Capo Verde. Grande «per colpo di sole... sono diventato come un Cristo!»
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• Nell’ottobre 1997, Daniel entrò come novizio nel monastero benedettino di Singeverga (San Tirso), a 40 km a nord di Porto. Visse là quasi due anni, nella sua cella del terzo piano, con tutte le sue carte, i suoi libri (circa 300), tutto il materiale per i collage e le pietre che aveva collezionato dentro piccole scatole. E, oltre alla preghiera e alla scrittura, «sbrigava le faccende, partecipava alla vendemmia, seguiva i lavori di bottega, l’imbottigliamento dei liquori, come tutti gli altri, secondo la Regola di San Benedetto» racconta l'Abate, il più anziano dei monaci del convento. Inoltre restaurava e rilegava libri antichi. E in occasione di eventi, egli creò insieme a 9 monaci un gruppo teatrale e mise in scena un pezzo composto da testi suoi e di Sophia. Diede alle stampe nel 1998 Explicação dos Arvores e de outros animais che considerò il più riuscito dei suoi libri di poesia.
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• Secondo il resoconto dell’Abate, il 3 giugno: «Daniel si alzò all’una di notte per andare in bagno. Stava piovendo forte, la finestra era aperta, la porta sbatté: nel tentativo di fermarla, egli cadde all’indietro e batté la nuca a terra. Chiamò un confratello, che gli deterse il sangue, e lui tornò a coricarsi. Alle quattro del mattino lo chiamò nuovamente per dirgli che non si sentiva bene. Fu subito portato all’ospedale di Santo Tirso e da qui fu mandato urgentemente al São João do Porto.» Sul finire del pomeriggio entrò in coma. La TAC rivelò un edema cerebrale. L’intervento operatorio durò 6 ore, ma l’emorragia non poté essere arginata. Passarono altri 6 giorni e, dopo una seconda operazione, venne dichiarata la morte cerebrale.
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• Terminiamo con l’autoritratto scritto da Daniel: «È un viso con gli occhi, le labbra, il pensiero, tutto il ritratto alla ricerca del silenzio resuscitato, come il Sabato Santo che aspetta nel suo cuore, nella sua gola, nelle sue mani, in ogni soffio d’argilla, il canto nuovo … Io sapevo già che il posto era la pietra, ma solo più tardi feci della pietra il mio posto. Scoprii come entrarvi per il suo lato aperto, riposarmi nella sua pulsazione, fino ad annientarmi del tutto.»
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Essenzialmente, le informazioni di questa pagina provengono da un articolo di Portico, "Daniel Faria: o rapaz raro" scritto da Alexandra Lucas Coelho, il 14 luglio 2001
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