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Estavam ali as portas
janelas e varandas. Estavam ali na fronteira do olhar onde o de dentro encontra justamente com o de fora. Nesse ponto exato elas estavam. Bastava um gesto. Mas o meu estar parado era maior do que eu. Estar parado/estar vivo: a mesma incompreensão e medo entre mim e aquele estar das coisas. Estar ali como nunca ter chegado. Estar ali como ter visto absolutamente tudo. Estar ali por estar ali. E além de mim o que eu não ousava. Ah: relembro a amplidão dessas varandas os pequenos raios de luz nos vidros coloridos das janelas. Revejo a dura consistência da porta cerrando seu segredo. E me retomo ali no imóvel do gesto que não fiz. Como se pudesse agora escancarar portas e janelas para sair nu pelas varandas desvairado e nu — um profeta, um louco, um santo. Sair para o vento, o sol, as tempestades, as neves, as quedas de estrelas e Bastilhas, o cheiro de jasmins entontecendo os quintais. (Pudesse retomar manhãs, amigo, manhãs perdidas como o que não fui.) Mas continuo ali. Aqueles espaços permanecem tão mortos de mim como um corpo que se ama e não se toca. |
Stavano lì le porte
le finestre e le verande. Stavano lì al limite dello sguardo dove ciò che sta dentro incontra precisamente ciò che sta fuori. In quel punto preciso si trovavano. Basterebbe un gesto. Ma il mio stare immobile era più grande di me. Stare immobile/essere vivo: la stessa incomunicabilità e paura tra me e quello stare delle cose. Stare lì come se mai fossi arrivato. Stare lì come se avessi visto assolutamente tutto. Stare lì per stare lì. E al di là di me ciò che io non osavo. Ah: ricordo la grandezza di quelle verande i piccoli raggi di luce sui vetri variegati delle finestre. Rivedo la salda robustezza della porta nel rinserrare il suo segreto. E mi ritrovo lì nel gesto immobile che non ho fatto. Come se potessi adesso spalancare porte e finestre per uscire nudo sulle verande stralunato e nudo — un profeta, un folle, un santo. Espormi al vento, al sole, alle tempeste, alle nevi, alle piogge di stelle e di Bastiglie, alla fragranza di gelsomini che frastornano i cortili. (Potessi riappropriarmi delle mattine, amico, mattine perdute come ciò che non sono stato.) Ma rimango lì. Quegli spazi seguitano ad essere così morti di me quanto un corpo che si ama e non si tocca. |
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Gianfranco Ferroni Porta chiusa (1974) |
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